Il Chief Operating Officer (COO) – in italiano, Direttore Operativo – traduce la strategia aziendale in azioni attraverso la gestione dell’area operativa. Proprio per questo, è il braccio destro dell’imprenditore.
Quella del COO rimane una figura il cui ruolo è poco chiaro a molti, come rileva Knotts su Forbes. Si potrebbe controbattere: ciò che è importante è che il lavoro di un COO sia chiaro a chi questo ruolo lo svolge. Tuttavia, un COO ha a che fare con diverse professionalità all’interno di un’organizzazione, di cui è cliente o fornitore, e ha un ruolo centrale nel determinare il buon funzionamento dell’azienda. Quindi, è rilevante che tutti coloro che si relazionano con il Direttore Operativo conoscano quali sono i perimetri della sua attività, le sfide e gli obiettivi che danno ritmo al suo operato, e le opportunità che le sue competenze possono rappresentare per l’evoluzione dell’azienda stessa.
Questo articolo si propone proprio di contribuire a far maggior chiarezza relativamente a chi è e che cosa fa un Chief Operating Officer. Un compito arduo dato che esistono tante sfumature nell’interpretazione di questo ruolo – nel 2006, su Harvard Business Review, Bennet e Miles ne identificano ben 7.
L’esperienza e la maturità nel ruolo di COO che Paola Spagnolo* e Giorgio Maschera** condividono in questo articolo restituiscono un’immagine più vivida del Direttore Operativo. Attraverso le loro riflessioni e racconti, Paola e Giorgio dipingono, con colori diversi e complementari, il ritratto di un professionista dinamico e vivace, attento alle specificità dei contesti aziendali, culturali e sociali con cui si interfaccia, sapiente nei confronti del futuro, umile ma determinato.
Muoversi fra 3 piani
Paola definisce il COO come colui che, una volta compresi gli elementi che caratterizzano il business e l’assetto societario, costruisce e modella l’assetto industriale, affinché sia la rappresentazione pratica della strategia che l’azienda ha deciso di perseguire.
Da questa definizione è chiaro che il COO deve sapersi muovere agilmente fra 3 piani:
- piano strategico
- piano operativo
- piano gestorio
I primi due piani si differenziano in primis per la dimensione temporale su cui si basano. Il piano strategico riguarda il futuro. È il piano della previsione, dell’immaginazione, dell’innovazione. Il piano operativo, invece, è legato al presente. A contraddistinguerlo è la concretezza delle azioni quotidiane.
Paola sottolinea come conciliare questi due piani non sia sempre facile. Secondo la sua esperienza, spesso, la cultura dominante nelle aziende è quella del fare. I troppi imprevisti e le innumerevoli richieste in capo al Direttore Operativo assorbono il suo tempo e lo spazio necessari a comprendere l’impatto della sua azione in uno schema più esteso – quello strategico, appunto. Tuttavia, sottolinea Paola, un Chief Operating Officer è tenuto a chiedersi spesso come il suo operato si inserisca all’interno di un piano più ampio. È fondamentale che si interroghi sul significato della propria attività rispetto al processo evolutivo dell’azienda.
Trasversale a questi due piani, c’è il piano gestorio la cui distintività non sta nella dimensione temporale, quanto invece negli elementi su cui porta l’attenzione: in particolare le interazioni fra processi e le persone che quei processi li realizzano.
La visione che un COO ha la possibilità di avere è, dunque, molto ricca. Muovendosi fra questi tre piani, il Direttore Operativo può toccare con mano diversi aspetti, ugualmente importanti, della vita di un’azienda. E questo, per poter prendere decisioni lungimiranti, è determinante!
Identificare e valorizzare il fattore comune
Spesso il ruolo del COO è presente in aziende la cui attività si declina su più stabilimenti. I plant possono essere localizzati in più nazioni, essere specializzati in prodotti diversi, e avere mission differenti. La complessità che il COO deve gestire può, dunque, variare, e variare di parecchio.
Giorgio suggerisce che il COO responsabile di gestire più plant debba identificare il fattore comune. Per farlo, Giorgio continua, il Direttore Operativo deve calarsi nelle singole realtà, essere proattivo nell’interagire con le persone e comprendere i loro punti di vista.
Una volta identificato il fattore comune, il Direttore Operativo deve far sì che questo sia esplicitamente perseguito e messo in pratica in ogni singola realtà, all’unisono. La sfida è quella di armonizzare mentalità e approcci, seppur rispettando le peculiarità culturali del contesto.
Un esempio? Giorgio ipotizza di dover gestire per la stessa azienda tre plant specializzati nella produzione di 3 prodotti differenti. I processi produttivi sono ovviamente diversi, continua il ragionamento Giorgio. In questo contesto il possibile fattore comune può essere la logistica. Se la logistica viene efficientata, allora si possono raggiungere risultati migliori!
Promuovere e gestire il cambiamento
Il cambiamento è insito nel lavoro di un COO. Secondo Paola, uno degli obiettivi di un COO è quello di cambiare come le persone lavorano all’interno dell’azienda.
Il cambiamento, continua Paola, auspicabilmente non viene imposto ma emerge da una spinta interna alla stessa organizzazione. Questo accade, ad esempio, quando nuove generazioni entrano in azienda. Compito del Chief Operating Officer è promuovere la spinta del miglioramento, quando si manifesta spontaneamente, o generarla, per far sì che il cambiamento diventi una forma mentis.
Come? Con autorevolezza, e non con autorità, specifica Giorgio. La vera sfida, aggiunge Paola, è proprio quella di riuscire a condividere quel percorso di miglioramento con le persone, e far sì che queste si sentano artefici e partecipi in quel processo.
L’interazione con l’intelligenza artificiale
Per Paola e Giorgio, il ruolo di COO nel tempo non si è modificato in modo sostanziale in termini di obiettivi. Come per tutti gli altri attori organizzativi, però, ciò che è cambiato e sta cambiando è il contesto in cui il COO opera. Dunque, oggi, le modalità di interazione con il contesto sono inevitabilmente diverse rispetto a quelle di ieri.
L’intelligenza artificiale fa parte delle novità del contesto e rappresenta una frontiera, dice Paola, che creerà nuovi paradigmi. Oggi, però, non tutte le realtà sono pronte a incorporare l’intelligenza artificiale in maniera massiva e a sfruttarne appieno le potenzialità. Sono ancora diverse le resistenze e svariati gli ostacoli da superare in molte realtà aziendali affinché l’intelligenza artificiale sia generatrice di opportunità.
Giorgio completa il quadro, delineando quale, a suo avviso, può essere una proficua interazione fra COO e intelligenza artificiale.
Per prendere le decisioni, il COO si basa sui numeri. E l’intelligenza artificiale in questo può essere molto utile! C’è un grosso “ma”. Giorgio continua il ragionamento, in linea con le teorie di Herbert Simon: l’essere umano è boundedly rational. Dunque, non può avere a disposizione tutti i numeri e le informazioni di cui necessita e per prendere una decisione mette in campo altri elementi quali l’esperienza e l’intuito.
Il COO non fa eccezione. Sono l’esperienza vissuta, le riflessioni sviluppate nel corso degli anni, le sfide affrontate rimboccandosi le mani a dare un senso ai numeri e alle statistiche di cui si dispone. Per questo, conclude Giorgio, l’intelligenza artificiale è e diventerà sempre più una preziosa alleata nel fornire numeri e analisi. Tuttavia, è la persona che svolge il ruolo di Direttore Operativo che, attraverso l’intuito e l’esperienza, può dare a quelle informazioni un significato che permette di prendere una decisione sapiente.
COO e Temporary Management
Che i progetti di temporary management possano richiedere l’azione di un COO è, ormai, risaputo. Il temporary manager COO può veramente fare la differenza per portare a termine progetti complessi e di natura straordinaria supportando un Chief Operating Officer già presente in azienda o preparando un terreno fertile per un futuro COO permanent.
Sulla competenza di un COO temporary manager, la riflessione che le parole di Paola e Giorgio inducono a fare è, però, più profonda.
Essere temporary manager non significa solo esercitare un determinato ruolo per un tempo circoscritto. Essere temporary manager implica aver sviluppato una serie di competenze che permettono a chi svolge questo ruolo di entrare con rapidità ed efficacia in un nuovo contesto aziendale; e di farlo in modo costruttivo.
Nel raccontare la sua esperienza di COO – sia come permanent che come temporary-, Giorgio riflette su come il ruolo di Direttore Operativo prepari un manager ad essere un buon temporary manager.
Giorgio lo ribadisce più volte nel descrivere cosa sia fondamentale per lui nell’essere un buon COO: mettersi in ascolto delle persone, capire come interagire con loro e solo successivamente collaborare per costruire con loro qualcosa di nuovo, di migliore. Questo, dice Giorgio, è ciò che un temporary manager deve fare sempre per diventare promotore del cambiamento all’interno delle aziende in cui è chiamato ad operare.
Anche nelle parole di Parola traspare questa attenzione nel porsi in ascolto. Emerge l’umiltà nell’apprendere come funzionano le dinamiche dei contesti, prima di determinare come quelle dinamiche dovrebbero essere per portare l’azienda ad evolvere.
Essere COO è, dunque, una “buona palestra” per allenarsi a ciò che un temporary manager è chiamato a fare.
Percinque: Temporary Management a servizio delle aziende
Per le aziende che intendono ingaggiare un Temporary Manager per raggiungere obiettivi ambiziosi e realizzare progetti anche complessi, Percinque mette a disposizione una squadra completa con competenze manageriali differenziate, grazie a un network di professionisti con grande esperienza nell’affiancare le aziende verso il successo.
*Paola Spagnolo è Presidente e Socio fondatore di Percinque S.r.l., nella sua esperienza professionale ha coperto il ruolo di COO in diversi contesti, multinazionali e aziende imprenditoriali, in diversi settori industriali, come manager e come temporary manager, coltivando una cultura d’azienda modernamente organizzata.
** Giorgio Maschera è un “viaggiatore” che ha imparato che non ci sono regole da dare per scontate. La necessità di crescere, di imparare, di misurarsi è fondamentale per avere il riconoscimento dell’autorevolezza, valore fondamentale per ogni buon leader. Il saper lavorare in team, sapendo trasmettere il proprio sapere rispettando ogni singola entità del team è la prerogativa più importante nella gestione di un’area Operations.
Nota: In questo articolo vengono utilizzate le espressioni Leader, Manager, Imprenditore, Temporary Manager e simili in maniera neutra, cioè senza alcun riferimento al genere del manager, potendosi ovviamente trattare di un manager o imprenditore donna o uomo allo stesso modo.