Focus on

Cosa fa un Controller di gestione e che significato ha il suo ruolo in un’azienda oggi?

Le decisioni sulla gestione di un’organizzazione sono supportate dal lavoro del controller che struttura ed elabora i dati che riguardano l’operatività nell’azienda e la sua gestione. Occuparsi di controllo di gestione implica, infatti, fornire degli strumenti funzionali a comprendere come migliorare in modo tempestivo l’operatività di un’azienda.

Il controllo di Gestione

Nonostante la sua centralità, quella del controller è una professione da backstage, più che da palcoscenico. Con l’intento di svelare questo “dietro le quinte” così centrale per il funzionamento e la gestione delle aziende, abbiamo chiesto a due controller di raccontarci che cosa significa svolgere questa professione.

In questo articolo, Chiara Martini* e Paolo Meneghini** ci raccontano come essere controller non significhi essere controllore, come questo ruolo sia trasversale e come, per svolgerlo, sia necessario vivere l’azienda, saper comunicare con gli altri attori dell’organizzazione e mettersi nei loro panni.

Dunque, che cosa fa il controller?

È questa la domanda a cui Chiara e Paolo rispondono, senza la pretesa di fornire un’esaustiva lista di tutte le attività che svolge chi ricopre questo ruolo.  Piuttosto, l’intento è quello di porre l’accento su alcuni aspetti chiave e, forse, non sempre così conosciuti, di questa professione. Aspetti che, però, rivelano quanto l’operato del controller sia determinante per decidere la gestione e il governo un’azienda.

 

La data Analysis del controller di gestione

Interroga il dato

Il lavoro di controller è molto simile a quello di un detective. Solo che, invece di interrogare persone, il controller interroga numeri. Si chiede come si sia giunti ad ottenere un determinato dato e di quali componenti questo sia costituito.

Per Chiara, l’attenzione nell’analizzare la natura e il significato del dato è una competenza che ad un controller non può di certo mancare. E, aggiunge, non bisogna fermarsi al singolo dato. Il controller deve saper mettere in relazione dati diversi e legarli ai processi aziendali che li generano. È così che può capire cosa stia succedendo e, dunque, fornire gli strumenti utili a definire come migliorare la performance, suggerisce Paolo.

Ma, per fare le proprie “indagini”, il controller ha bisogno di quei numeri, di quei dati.

Le aziende li hanno sempre a disposizione?

Chiara dipinge quattro possibili scenari:

  • nell’azienda manca il flusso documentale necessario ad estrarre i dati;
  • l’azienda, pur avendo il flusso documentale, non sfrutta l’opportunità dei dati che potrebbe avere a disposizione;
  • l’azienda estrapola i dati ma non li mette in relazione gli uni con gli altri;
  • l’azienda ha un sistema organico di raccolta e analisi dei dati.

A valle degli scenari descritti da Chiara, è immediato comprendere come il lavoro del controller possa assumere sfaccettature diverse in base al livello di cultura del dato presente nelle aziende.

È promotore della cultura del dato

In un’azienda c’è la cultura del dato quando gli attori organizzativi conoscono – e ancor prima, riconoscono- le potenzialità dei numeri e le sanno sfruttare per raggiungere gli obiettivi aziendali.

Introdurre questa cultura o potenziarla, ci raccontano Chiara e Paolo, è compito di un controller.

Per farlo, non basta mettere sul tavolo la razionalità legata all’importanza del sapere come gestire e interrogare i dati, specificano. Ci sono almeno due importanti sfide da affrontare per far sì che, come dice Chiara, il metodo e la costanza che distinguono l’approccio di un controller diventino patrimonio per l’intera azienda.

La sfida di abbattere le resistenze

Una sfida è riuscire ad abbattere delle naturali resistenze che si possono manifestare in chi non è abituato ad utilizzare i dati per gestire la quotidianità.

Una di queste resistenze deriva dall’inevitabile aumento della complessità operativa. Come superarla? Chiara risponde: avendo ben chiari i benefici derivanti dall’interpretazione sapiente dei dati si crea quella motivazione sufficiente a superare gli sforzi richiesti.

 La sfida di coinvolgere l’imprenditore

In un articolo di Harvard Business Review – che, seppur del 1985, offre spunti molto attuali -, Derek F. Du Toit sottolinea come anche lo stesso imprenditore preferisca spesso ciò che l’esperienza, e non il dato, insegna. Anche Chiara e Paolo lo rilevano.

Tuttavia, per far abbracciare la cultura del dato a tutti gli attori organizzativi è necessario che il titolare dell’azienda sia promotore di tale cultura.

Solo così è possibile per il controller svolgere un’attività di formazione che, come ricorda Paolo, è centrale se si vuole che ciò che un controller fa si traduca in azioni operative e di gestione mirate e di miglioramento. La seconda sfida è dunque spesso quella di coinvolgere l’imprenditore nel processo di sviluppo della cultura del dato nell’azienda.

 

I KPI del Controller di Gestioner

Costruisce KPI per intervenire tempestivamente

Elaborare i Key Performance Indicators (KPI) è compito di un controller.

Se ben costruiti, i KPI permettono di attivare quei meccanismi di correzione necessari a migliorare la performance di un’azienda.

E non solo. I KPI permettono alle aziende di essere reattive nel “correggere il tiro”. Con questi indicatori, infatti, non si deve attendere il bilancio per capire che azioni intraprendere per cambiare e perfezionare i propri processi, e dunque essere più performanti. Grazie ai KPI, il ritmo di miglioramento può essere più sostenuto, sottolineano con decisione Chiara e Paolo.

Come costruire dei buoni KPI? Chiara risponde: maturando una conoscenza dei processi!

Conosce i processi core

Proprio perché deve conoscere bene come funziona l’azienda, a differenza di quello che può essere l’immaginario comune, il controller non può stare chiuso in una stanza ad analizzare i dati, isolato dalla dinamicità aziendale. Su questo Chiara e Paolo non hanno alcun dubbio.

Il controller di gestione deve vivere a fondo l’azienda, capire come avvengono quei processi che permettono di realizzare risultati ed output, dice Paolo.

Un controller deve avere una visuale a 360 gradi, aggiunge Chiara. La sua azione deve essere trasversale. Non deve essere considerato un controllore, ma un partner di tutte le funzioni che, insieme, consentono ad un’azienda di essere ciò che è.

Controller di gestione e Temporary Management

Paolo fa una premessa: dato che, come temporary manager specializzati in controllo di gestione, non si viene chiamati ad intervenire in realtà in cui le cose funzionano bene senza bisogno di migliorie, le analisi che si eseguono, spesso, fanno emergere  alcune criticità.

Specialmente se si tratta di PMI, il temporary manager deve saper contestualizzare quelle criticità riconoscendo che le sottopone all’imprenditore, ovvero a chi ha fatto nascere e crescere l’azienda.

Il temporary manager guarda ai dati con razionalità. Ma, nel portare al tavolo le criticità emerse, deve avere l’empatia nel commentarli e proporre soluzioni. Come dice Paolo, deve essere una spalla per l’imprenditore, aiutarlo a comprendere come migliorare ciò che ha creato attraverso ciò che i dati suggeriscono.

Il mentoring del controller di gestione

Come accennato precedentemente, ove necessario, il temporary manager controller svolge anche attività di formazione: aiuta a comprendere l’utilità dei dati e dei meccanismi necessari a raccoglierli e analizzarli affinché possano essere utili per potenziare l’operatività di un’organizzazione.

Ecco perché un intervento di temporary management nell’ambito del controllo di gestione può essere particolarmente utile nelle situazioni di passaggio generazionale, riconosce Paolo. Il temporary manager controller si mette a servizio della nuova generazione per aiutarla a comprendere come leggere i numeri e come utilizzare quella lettura per definire una strategia traducibile in una operatività performante.

Percinque: Temporary Management a servizio delle aziende

Per le aziende che intendono ingaggiare un Temporary Manager per raggiungere obiettivi ambiziosi e realizzare progetti anche complessi, Percinque mette a disposizione una squadra completa con competenze manageriali differenziate, grazie a un network di professionisti con grande esperienza nell’affiancare le aziende verso il successo.

 

*Chiara Martini è un controller che collabora con Percinque da vari anni portando le competenze acquisite nelle sue molteplici esperienze in aziende multinazionali (General Electric, EssilorLuxottica, Videndum). La sua abilità è quella di scomporre e analizzare i complessi processi aziendali con la visione dei numeri (numeri che, poi, sono quelli che compongono il bilancio). La sua passione è quella di creare semplici sistemi informatizzati per l’estrazione del dato ed il suo monitoraggio.

**Paolo Meneghini inizia la sua esperienza come controllo di gestione in un’importante azienda Vicentina. Dopo oltre vent’anni consegue un Master in Business Administration al CUOA di Altavilla che lo convince a tuffarsi nel mondo del Temporary Management. Da allora, ha partecipato con successo nella realizzazione di decine di progetti, inserito come controllo di gestione nei vari Team che Percinque ha messo a disposizione per i propri clienti. Svolge anche ruoli come CFO e spesso si affianca all’Imprenditore nella gestione dell’impresa. È Project Manager Certificato UNI 11648.

Nota: In questo articolo vengono utilizzate le espressioni Controller, Manager, Imprenditore, Temporary Manager e simili in maniera neutra, cioè senza alcun riferimento al genere del manager, potendosi ovviamente trattare di un manager o imprenditore donna o uomo allo stesso modo.

Condividi questo contenuto: